Secondo uno studio della Banca d’Italia(1) : Alla fine del 2011 le attività finanziarie ammontavano ad oltre 3.500 miliardi di euro. Di queste, il 41,8% era impiegato in obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni, partecipazioni in società e fondi comuni di investimento. Il 19,2% in riserve tecniche di assicurazione, ovvero dalle somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per le future prestazioni in favore delle famiglie; Il 3% in crediti commerciali; E solo il 5,2% in titoli pubblici italiani; Il restante 30,8% veniva lasciato “liquido” in biglietti, monete e depositi bancari e postali.
Questi sono i numeri. Tuttavia, prima di passare a trattare le problematiche specifiche del settore, è necessario premettere che sarebbe un errore considerare le attività finanziarie scollegate dal resto del patrimonio, in particolare da quello immobiliare.
Affinché un patrimonio abbia una composizione “sana” esso deve essere ben bilanciato. In condizioni normali, accanto agli INVESTIMENTI IMMOBILIARI, con le loro rispettive rendite, dovranno essere presenti le ATTIVITA’ FINANZIARIE, suddivise tra azioni, obbligazioni, titoli di stato…il tutto al fine di minimizzare i rischi e massimizzarne i rendimenti. Ai nostri giorni invece, il patrimonio immobiliare non solo non rende nulla, ma spesso non riesce neppure a mantenere se stesso, subendo continui attacchi, sia per il deprezzamento dovuto dalla crisi, che da parte del fisco e da norme catastali sempre più aggressive che ne impongono una continua e costosa manutenzione burocratica (ri-accatastamenti, certificazioni energetiche, attestazioni di agibilità, ecc…) Da qui la necessità di rendere “liquido” il patrimonio finanziario, affinché possa, alla bisogna, venire in soccorso a quello immobiliare, oramai ridotto ad un vero e proprio “ostaggio”.
Da un panorama generale della situazione delle finanze degli italiani l’impressione che si ha è quella di una sostanziale fragilità dei loro risparmi. Le tensioni sui mercati finanziari, i successivi crack e l’estrema incertezza intorno alle politiche governative circa il patrimonio in particolare e sugli indirizzi macroeconomici in generale, hanno fatto da sfondo ad una pianificazione finanziaria, assente o spesso approssimativa, dovuta ad una mancanza di consulenza da parte degli operatori preposti. Primi fra tutti gli istituti di credito. Le cessioni ai propri clienti dei titoli Cirio, Parmalat, Lehman fino ai bond Argentini, ne sono state le inevitabili conseguenze.
In sintesi, più che le perdite di borsa, è stata la mancanza di consulenza, che ha danneggiato il risparmiatore. Essa ha portato a riempire il portafoglio degli Italiani di obbligazioni non quotate, prive di un mercato liquido e difficili da disinvestire.
Tutto ciò ha indotto una ricomposizione dei portafogli delle famiglie verso forme di investimento più liquide, quali il contante, il risparmio postale ed i conti correnti bancari. Per contro il portafoglio in titoli di stato è drasticamente diminuito. Nella metà degli anni 90’ esso era pari al 14% delle intere attività finanziarie, ora ammonta a poco più del 5% e questo la dice lunga sul senso di “sfiducia” che gli investitori nutrono nei confronti dell’andamento economico in generale e delle politiche governative in particolare.
Ultima fonte di preoccupazione è l’introduzione delle Clausole di Azione Collettiva (CACS) nei titoli di Stato. Con decreto del Ministero Economia e Finanze, pubblicato nella G.U. del 18 dicembre 2012, si autorizza lo stato italiano, per le nuove emissioni di titoli pubblici aventi scadenza superiore ad 1 anno, a modificarne i termini di rimborso e di rendimento, in caso di necessità. Questo significa che in particolari condizioni, lo Stato può anche non pagare i suoi creditori. Come se non bastasse, persino i depositi tenuti “di riserva” al fine di far fronte alle necessità o per pagare le imposte , sono ora attaccati. Ci riferiamo in particolare a quel 30,8% in biglietti, monete e depositi bancari e postali.
Al di là della solvibilità delle banche, che al giorno d’oggi non è più cosa assodata , un altro aspetto preoccupante è l’accanimento del fisco sul risparmio (imposte di bollo, mini patrimoniale, tassazione sugli utili…), tanto da fare temere persino un ritiro forzoso sui conti correnti, già peraltro subito nel 1992 con il governo di Giuliano Amato.
Questa volta però, le dimensioni del prelievo sarebbero ben più gravi. A seguito della crisi di Cipro, il governo locale ha ordinato di effettuare un ritiro forzoso dai conti correnti sopra i 100 mila euro per un importo pari al 37,5% ed è voce ricorrente negli ambienti di Bruxelles, che si voglia “istituzionalizzare” il modello cipriota, rendendolo ripetibile anche in altri paesi dell’unione…
Non è questa la sede per commentare simili interventi, palesemente anti costituzionali (art.47 Cost. Rep.) e lesivi dei principi fondamentali del diritto nazionale ed internazionale. E’ evidente però che oggi, nemmeno depositare una somma di denaro in un conto corrente, è più una cosa sicura.
Alla luce di quanto anzidetto, i nostri obbiettivi, saranno quelli di comprendere le necessità dell’investitore, coadiuvandolo nella formulazione di un portafoglio, per quanto possibile al riparo dalle incertezze del mercato e da questi assurdi prelievi.
Come consuetudine, raccomandiamo pertanto al cliente un’attenta pianificazione preventiva.
Potendo contare sull’apporto di professionisti in grado di affrontare i problemi del cliente in ogni suo aspetto e senza alcun interesse a fargli sottoscrivere questo o quel prodotto finanziario, forniamo una consulenza altamente qualificata, indipendente ed integrata.
Con essa intendiamo un accurato esame delle necessità del cliente e della sua famiglia, cercando di programmarne il risparmio in base alle spese necessarie, tenendo conto delle reali disponibilità. Si consiglieranno pertanto i prodotti più adeguati e liquidabili alle scadenze previste o prima, in caso di necessità. Il tutto tenendo presenti i migliori rendimenti ed il minor margine di rischio.
Con essa indichiamo quel processo rivolto alla persona e alla famiglia al fine di tutelarsi al meglio dai rischi verso i quali è esposto. Quanto più è corretta la pianificazione, tanto meno gli eventi dannosi avranno un impatto negativo sulla vita familiare.
Con essa intendiamo la possibilità di prevedere la differenza tra il reddito di lavoro percepito e quello che si avrà al momento della cessazione della vita lavorativa. Si tratterà quindi di dotarsi, secondo le reali disponibilità del cliente, degli strumenti finanziari capaci di mantenere il più possibile inalterato detto reddito, curando attentamente la loro REDDITIVITA’ e SICUREZZA
In un simile frangente, in cui i rendimenti dei BTP decennali si aggirano sull’ 1,5% e quelli dei BOT sono negativi, molti risparmiatori hanno deciso di parcheggiare i loro risparmi sui conti correnti.
Possono stare tranquilli? Purtroppo NO. Nel caso in cui i conti pubblici fossero fuori controllo, da tempo è all’ordine del giorno la possibilità che venga effettuato un nuovo prelievo forzoso, ipotizzato questa volta del 2 o 3%, allo scopo di far cassa.
L’esperienza fatta con il Governo Amato nel 1992, è ancora viva e, la rapidità della decisione e la sua non prevedibilità darebbero un serio colpo ai diritti e alle finanze dei risparmiatori.
Prevedere tutto questo è possibile, basta farlo ora contattandoci per tempo.
Se l’euro si presenta più forte, è forse il caso di prendere in considerazione una diversificazione del portafoglio. Valutare l’acquisto di prodotti (azioni, obbligazioni ecc…) in altre valute, consente di alleggerire il rischio di un eccessivo apprezzamento dell’euro. Le opportunità non mancano, sia verso gli USA, che nei confronti dei paese emergenti. Da non sottovalutare sono anche le offerte di quegli stati europei che sono rimasti fuori dall’euro, quali la Norvegia, la Svezia o lo stesso Regno Unito.
La comunità finanziaria é sempre più orientata a riconoscere il significato morale ed economico dei prodotti “sostenibili”. Con essi intendiamo quegli investimenti che hanno alla base imprese impegnate affinché l’impatto ambientale delle loro lavorazioni non sia nocivo, ovvero che la società in cui operano, goda di concreti benefici dalla loro attività e che infine abbiano metodi di governance trasparenti. In poche parole che progettino la loro vita nel lungo periodo, affiancando al rendimento l’utilità sociale, una delle maggiori garanzie per conseguire utili anche in futuro.
In questi tempi di crisi, la paura di perdere il lavoro è purtroppo un assillo reale nella vita di tutti i giorni. Prevedere questa infausta possibilità è doveroso per se e la propria famiglia, al fine di rendere meno pesanti le conseguenze della successiva disoccupazione. Oltre alle diffuse polizze CPI (Credit Protection Insurance) che offrono la copertura per subentrare nel pagamento delle rate di un mutuo, ne esistono altre, anche se meno conosciute: le Bill Protection
Diffuse maggiormente nel mercato anglosassone, offrono una copertura su misura partendo dallo status lavorativo dell’assicurato, qualora questi perda il lavoro per giustificato motivo. Le prestazioni sono molteplici, si va dall’erogazione di una somma una tantum “a forfait “, alla corresponsione di un assegno mensile. Possibile è anche il rimborso delle utenze domestiche, degli gli affitti, degli addebiti sulla carta di credito e delle spese sostenute con R.I.D. e M.A.V..
In tempi come questi, caratterizzati da rendimenti bassi o prossimi allo zero, si stanno facendo strada forme di impiego alternative. In particolare i Private Debt, fondi comuni di investimento, specializzati nell’acquisto di strumenti finanziari emessi da imprese, come obbligazioni, cambiali finanziarie, ecc…
I rendimenti sono sicuramente interessanti, dal momento che in media si aggirano dal 5% al 7% del capitale investito.
Le quote sottoscrivibili sono accessibili ad un vasto pubblico di risparmiatori ed il taglio minimo dell’investimento si aggira sui 25.000,00 euro. La durata della sottoscrizione è di 7 anni.
A differenza dei P.I.R., che riguardano imprese quotate o in procinto di quotarsi in borsa, i Private Debt, operano con quelle che ancora non ne hanno i mezzi e che vedono nell’emissione di obbligazioni l’unico strumento per poter affermarsi su mercato, anche in prospettiva di una loro futura quotazione.
Le aziende finanziate, sono in particolare quelle sotto i 50 milioni di fatturato: le PMI, generalmente situate al centro nord del nostro paese, con un alta propensione alla crescita ed una forte spinta all’internazionalizzazione.
Un operazione di private debt può essere effettuata anche in concomitanza con una di private equity, con lo scopo di reperire fondi per una riorganizzazione aziendale o un passaggio generazionale.
A differenza del private equity, il fondo di private debt non entra nel merito della gestione dell’impresa finanziata e la rischiosità dell’investimento è minore, per il fatto che i finanziamenti sono “diluiti” verso un più alto numero di imprese finanziate.
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